GIN VALLOMBROSA | Bott. cl. 70
Nell’Appennino Tosco-Emiliano, a 1000 metri d’altezza, circondata da una foresta di piante secolari, sorge l’Abbazia costruita nel 1028 da San Giovanni Gualberto, che fondò la Congregazione Benedettina di Vallombrosa, riconosciuta nel 1055 da Papa Vittore II. Il complesso degli edifici attuali fu edificato tra il 1450 e il 1470; poi nel 1529 fu gravemente danneggiato dal passaggio dell’esercito di Carlo V e, restaurato nel Seicento, assunse le caratteristiche di un castello. Per molti secoli centro di ricerca spirituale, si arricchì nel tempo grazie a numerose donazioni di famiglie facoltose della zona. Nel periodo napoleonico a seguito di un decreto che stabiliva la soppressione di tutte le congregazioni religiose, emanato dal governo francese, i monaci dovettero abbandonare l’abbazia. Il Monastero fu ripristinato nel 1815 e nel 1869, sotto il re Vittorio Emanuele II, divenne sede dell’Istituto Forestale Italiano. Dopo la riconsegna ai Monaci, nel 1949 iniziò una complessa opera di restauro da parte dei religiosi benedettini, unita al ripristino delle pratiche tradizionali che avevano da sempre caratterizzato la vita quotidiana del Monastero. Famosa per la produzione casalinga di miele, cioccolata, preparati di erboristeria per la cura di viso e corpo, liquori e amari distillati di molte erbe, l’Abbazia è soprattutto rinomata per il Dry Gin di Vallombrosa, unicamente a base di una varietà selvatica di bacche di ginepro che cresce sulle colline tra Sansepolcro e Pieve Santo Stefano, nella provincia Aretina, scoperta nel corso degli anni in cui i Monaci svolgevano le attività di ripristino boschivo per la Forestale. L’alta concentrazione aromatica riscontrabile in questa pianta ne garantisce l’impiego in distillazione in forma monovarietale con ottimi risultati, al punto che alcuni selezionatori Anglosassoni ne hanno selezionato alcuni campioni per produrre dei Gin Single Estate prodotti con la tecnica del ‘cold compound’.
Diversissimo da qualunque altro distillato abbiate provato, è un po’ quello che si pensa dovrebbe essere l’old tom gin. Al naso il ginepro è netto, assertivo, ma dietro c’è qualcosa d’altro. Io non l’ho saputo individuare, ma fornisce il carattere alla bevanda. Un gin d’altri tempi, ombroso, dal sapore di muschio che mal tollera i compromessi. Pietroso, quasi. Eppure, è dolce. Dolce in modo sorprendente, soprattutto se assaggiato con qualche goccia d’acqua.
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